mercoledì 29 gennaio 2014

Educare alla Rete…sì, ma come, su cosa e per fare cosa?

Dopo un lungo e lucido confronto istituzionale in Banca d’Italia in merito alla regolamentazione in Italia dei futuri processi di dematerializzazione degli assegni, ho seguito stamattina il prestigioso convegno “Educare alla Rete” - svoltosi in data odierna dalle 11.30 in poi presso la sala convegni di Piazza Montecitorio a Roma - organizzato dal Garante per la protezione dei dati personali (anche in occasione della presentazione della omonima pubblicazione cartacea) con la partecipazione del Ministro per l’istruzione, dell’università e della ricerca, Maria Chiara Carrozza, del Commissario di Governo per l’attuazione dell’Agenda Digitale, Francesco Caio, del Direttore della Rai, Luigi Gubitosi e del Presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, Antonello Soro.
Da un convegno del genere, con personaggi così illustri, c’era da aspettarsi tanto: aperture verso il futuro digitale, importanti prese di posizione, strategie lungimiranti e tensione verso i nuovi binari targati 2.0, con (ovviamente) attenzione costante alla delicata questione dei dati personali da trattare. Invece, come purtroppo troppo spesso succede, poco o nulla di nuovo all’orizzonte. E quel poco era anche sofferto e raramente lucido.
Non è facile la strada della digitalizzazione ed è senz’altro importante che la Rai educhi i cittadini italiani, come peraltro è previsto da tempo – inutilmente - nel Codice dell’amministrazione digitale, dove si chiede con forza che i cittadini siano alfabetizzati e i dipendenti pubblici formati in materia di digitale.
Quindi, gli intenti del Garante sono nobili e gli sforzi apprezzabilissimi, ma da questi incontri si evince purtroppo come del roboante e pomposo “bla, bla, bla” poco rimane se non la sensazione che il digitale sia ancora una noiosa nota a margine per le nostre politiche nazionali e soprattutto quanto le nostre istituzioni subiscano tra loro un pericoloso scollamento, perseguendo obiettivi diversi e avvertendo la stessa materia del digitale secondo dinamiche differenti e livelli di attenzione opposti.
Il Ministro dell’istruzione candidamente ha ammesso la propria inadeguatezza in materia, scarsa conoscenza sulla particolare e complessa tematica, pur confermando un’attenzione istituzionale. Il Direttore della Rai, anche se con un avvio tecnologicamente controverso, è riuscito a far trasmettere un vivace video promozionale dal quale si evinceva un impegno della Rai verso questi temi. Il Garante ha dimostrato dimestichezza nell’affrontare la questione dal punto di vista della protezione del dato personale in un mondo che utilizza ormai quotidianamente e diffusamente strumenti di accesso al digitale (dal pc al tablet sino allo smartphone, i quali consentono un’interazione costante con i mondi social). E il Commissario di Governo per l’attuazione dell’Agenda Digitale ha svolto, pur con rispettabile rigore, il suo compitino parlando del suo mondo immaginifico: l’Agenda Digitale con i suoi tre obiettivi primari e i suoi diversi strumenti (PEC, firma digitale, documento digitale unificato e così via).
Peccato che nei processi di “educazione alla rete” individuati dal Garante di questi strumenti non ci sia traccia. Sembra quasi che si stia parlando di due mondi distinti: l’odierna realtà digitale da una parte (dei rischi della quale si interessa il Garante e, con diversi gradi di attenzione, le altre istituzioni coinvolte), e la rivoluzione digitale che si insegue dal 1993 (e di cui si interessa chi si occupa oggi di Agenda Digitale).
O almeno questa è stata la spiacevole sensazione che ho avvertito durante il convegno: una evidente cesura tra ciò che c’è e si vede e ciò che ancora non si vede e si sogna da anni, pur se continuiamo pubblicamente a dichiarare che sta per arrivare.
E i fallimenti della Carta di identità elettronica e da ultimo dell’AVCPASS ne sono l’evidente attestazione.
C’è una ferita che continua a sanguinare in Italia per chi si occupa con attenzione ed entusiasmo di queste materie e non possiamo continuare a chiudere gli occhi, facendo finta di nulla.
L’Italia non lo merita.
Perché è vero quando si dice e si ripete che noi siamo all’avanguardia su queste tematiche più tecniche, ma è pur vero che occorre guardare con attenzione la realtà che c’è, quella del web 2.0, se vogliamo davvero rendere operativi gli strumenti di digitalizzazione su cui stiamo puntando da vent’anni a questa parte.
E c’è senz’altro bisogno di alfabetizzazione diffusa (e ben vengano quindi queste iniziative), ma anche di formazione di professionalità nella PA e nel mondo dell’impresa. E soprattutto dobbiamo metterci d’accordo su cosa e come insegnare e per realizzare quali processi.
Facciamolo subito (e troviamo i fondi necessari).

E soprattutto, che le Istituzioni si mettano d’accordo tra loro su cosa fare …e magari si facciano anche aiutare da chi queste materie le studia da anni!

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